Tale regola era nota come il postulato del momento della quantità di moto e comportava la quantizzazione del raggio delle orbite e dell’energia dell’elettrone. Il secondo postulato introdotto da Bohr affermava che ‘’l’atomo assorbe od emette energia sotto forma di radiazione elettromagnetica solo quando si verificano dei passaggi dell’ elettrone da uno stato quantico ad un altro: l’ energia corrispondente alla differenza tra i livelli energetici dei due stati, viene assorbita od emessa sotto forma di un unico quanto’’. Dato E1, energia nello stato 1, se veniva fornita all’elettrone sufficiente energia, ad esempio per mezzo di onde elettromagnetiche, esso si poteva portare ad uno stato caratterizzato da un valore di energia pari ad E 2, per cui la transizione avveniva solo se la radiazione incidente aveva una frequenza ν = (E 2- E 1)/h Il modello di Bohr poteva essere usato per interpretare gli spettri degli ioni idrogeno ed anche in tal caso i risultati che si ottenevano erano in buon accordo con quelli sperimentali. Più tardi A. Sommerfield elaborò un’estensione del modello atomico di Bohr, considerando orbite di forma ellittica, rispettando la meccanica classica. Il suo modello spiegava lo spettro atomico di emissione di numerosi elementi, per i quali i risultati ottenuti applicando il semplice modello di Bohr non erano soddisfacenti. L’impiego di modelli basati sull’ esistenza di ben determinate orbite degli elettroni intorno al nucleo, fu ben presto messo in discussione. Nel 1923 Louis de Broglie propose un modello che prendendo in considerazione le idee di Planck, conferiva alle particelle proprietà ondulatorie. Come la luce, anche gli elettroni avevano proprietà sia ondulatorie che corpuscolari , e queste proprietà non potevano essere evidenziate con un unico esperimento. Il concetto della doppia natura di onda e particella fu definito onda- particella. Lo sviluppo della meccanica quantistica si evolse in modo ulteriore con il principio di indeterminazione di Heisenberg e affermò che è impossibile conoscere contemporaneamente sia la posizione che il momento di un elettrone. Quando un elettrone che si trovava in una determinata posizione si scontrava con un fotone, la velocità dell’elettrone subiva una modificazione (effetto Compton) ; esisteva sempre, perciò, una certa indeterminazione circa la posizione ed il momento dell’elettrone in relazione con alla costante di Planck. Se Δp rappresentava l’indeterminazione del momento dell’ elettrone e Δx l’ indeterminazione della posizione, si aveva : Δp Δx >= h cioè quanto più era certa la posizione dell’ elettrone tanto più indefinito era il suo momento e viceversa. Il contributo che Schrödinger apportò al principio di indeterminazione di Heisenberg , che considerava l’elettrone come particella, fu quello di descrivere il comportamento ondulatorio dell’elettrone con una equazione matematica: + V(x,t) con m = massa dell’elettrone V = potenziale a cui era soggetto l’elettrone L’insieme di soluzioni dell’ equazione dell’onda poteva essere utilizzato per calcolare la probabilità di trovare l’elettrone in un punto particolare dello spazio attorno al nucleo. L’equazione d’onda di Schödinger era molto complessa e ricca di termini matematici, il cui significato fisico fu messo in rilievo da Max Born. Born dimostrò che ||2 (il quadrato del valore assoluto dell’ ampiezza) corrispondeva alla probabilità di trovare l’ elettrone in un punto dello spazio per il quale l’equazione veniva risolta. Data la sua difficile risoluzione, l’equazione d’onda di Schrödinger fu applicata solo all’atomo di idrogeno, che è il più semplice. Tale espressione consentiva di determinare le probabilità di trovare l’elettrone dell’idrogeno in un dato punto. Riunendo tutti i punti con più alta probabilità si otteneva una struttura tridimensionale: l’orbitale. La zona in cui era più probabile trovare l’elettrone era quella interna a questa struttura calcolata. |
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