2.9: Il modello “elettronico in espansione”di Schott(1906)

Tra il 1904 e il 1907 Schott cercò di perfezionare le idee di Nagaoka e Thomson, ma pure i suoi calcoli prevedevano  in ogni atomo  la presenza di 1000 o 2000 elettroni distribuiti tra i vari anelli. Jeans, Nagaoka e Schott pensarono tutti che le righe degli spettri atomici fossero dovute alle oscillazioni degli elettroni, che cercavano di distribuire secondo un criterio all’interno dell’atomo. Rifacendosi  sempre ad una lettera a “Nature” (9-6-1904) dello stesso Nagaoka in cui si sosteneva che il modello saturniano non era necessariamente neutro dal punto di vista elettrico, in quanto il nucleo poteva avere una carica molto forte rispetto a quella degli elettroni, Schott osservava che non per questo il problema dell’instabilità diventava molto grave. “Il sistema è ancora troppo instabile,” scrisse Schott, dimostrando che le perturbazioni crescevano di intensità di circa un fattore tre ogni tre rivoluzioni elettroniche. La via seguita da Schott portava ugualmente ad enormi difficoltà. In una memoria del 1906 egli propose di superarle mediante delle modificazioni nelle “concezioni usuali sulla costituzione dell’elettrone e dell’etere”e suggerì ad esempio di discutere gli elettroni come se fossero soggetti a variazione di raggio, ciò rendeva ancora più complessa la trattazione della “struttura dell’elettrone”.

William Ritz (1878- 1909) tentò invece il procedimento inverso: individuare la struttura atomica partendo dalle leggi empiriche che regolano gli spettri. Egli capì che nell’atomo doveva essere presente una forza magnetica e l’elettrone si doveva muovere su un’orbita piana sotto l’azione del campo magnetico. Ritz comprese inoltre che ogni riga dello spettro dipendeva da uno stato diverso dell’atomo, ma non giunse al concetto di quantizzazione enunciata da Planck.

 

 

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